mercoledì 13 ottobre 2010

Ciarlatani: un "concreto" pericolo astratto?

Pericolo! Ciarlatani in circolazione.
Il titolo del post sembra un po' contraddittorio vero? In realtà non lo è affatto e leggendo capirete perché. Questa volta affronterò un aspetto interessante e fondamentale della natura giuridica del ddl; il discorso è un po' tecnico, ma non preoccupatevi, non sono un giurista e quindi parlerò da comune mortale ed il discorso filerà liscio. Cercherò di spiegare le ragioni "tecniche" per le quali la legge proposta da questo ddl avrebbe le carte in regola per esistere nel nostro ordinamento giuridico. Parlerò delle diverse tipologie di reato contemplate dal nostro ordinamento giuridico e scoprirete che il ddl vuole introdurre quello che tecnicamente si definisce un reato di pericolo astratto.
In generale, una legge, prima ancora di poter essere approvata sul piano politico, deve superare una sorta di "test di idoneità" sul piano giuridico. Deve, cioè, dimostrare di essere compatibile con i criteri che regolano la formazione delle leggi. Una legge, ad esempio, non può andare contro un principio stabilito dalla Costituzione, nel qual caso, non arriverebbe nemmeno alla discussione in parlamento e si arenerebbe già sugli scaffali di qualche commissione.


Venendo al nostro caso, e cioè una legge che introduce un reato, una delle regole fondamentali che essa deve rispettare è quella di tutelare un bene giuridico già direttamente o indirettamente riconosciuto dalla Costituzione o, secondo gli orientamenti più moderni, un bene che, anche se non in qualche modo già individuabile nel testo costituzionale, quanto meno non sia incompatibile con esso.  Per intendersi: è inutile sprecare tempo a scrivere una legge che vieti di vestirsi di rosso perché, anche se raccogliete dieci milioni di firme, quella legge è già carta straccia poiché nella Costituzione, giratela come vi pare, non troverete una riga dalla quale si possa dedurre che vestirsi di rosso arrechi danno. Questa regola è nota come principio di offensività: può esserci reato solo se viene leso o se viene messo in pericolo un bene giuridico riconosciuto. Il primo passo da fare, quindi, è vedere quali sono i beni giuridici che tale ddl vuole tutelare e se questi sono contemplati dalla Costituzione. Leggendo il ddl, è abbastanza evidente che tali beni sono:

  • la salute
  • il patrimonio personale
  • la cultura

Non c'è alcun dubbio che tali beni siano riconducibili alla Costituzione, anche perché sono già tutelati da leggi esistenti. Tutto a posto allora? Il ddl ha le carte in regola per sbarcare nelle aule parlamentari? Non proprio. Il nostro ordinamento giuridico, infatti, distingue due tipi di reato:
  • reati di danno: sono quei reati che vanno a ledere direttamente un bene giuridico. Ad esempio, un'aggressione fisica o un furto sono reati di danno, poiché ledono direttamente i beni della salute e del patrimonio 
  • reati di pericolo: sono quei reati che mettono in pericolo i beni giuridici. Ad esempio, il reato di abbandono di minore o di incapace, è un reato di pericolo. Infatti, per essere accusati, non è necessario che il minore o l'incapace abbia subito un reale danno derivante dallo stato di abbandono, ma è sufficiente l'atto di averli messi in una situazione di pericolo abbandonandoli. In questo modo, il legislatore vuole punire chi semplicemente "mette in pericolo" il bene giuridico dell'incolumità personale di chi non può badare a se stesso.

In base a questa distinzione, non c'è dubbio che il ddl vuole introdurre un reato di pericolo. Infatti, prendendo ad esempio il bene giuridico della salute, il messaggio di un ciarlatano che promuove una cura inefficace contro il cancro, non lede, di per sé, la salute di nessuno e quindi non si può parlare di reato di danno. E' verosimile, tuttavia, che tale propaganda possa indurre qualcuno a fidarsi di lui, mettendo così in pericolo la salute della vittima essendo questa distolta dal seguire cure efficaci.

Abbiamo finito? Bè...non proprio...il mondo è un tantino più complesso. In realtà, per la seconda tipologia di reati, esiste ancora una sottile ma importante distinzione. Abbiamo, infatti:
  • reati di pericolo concreto: sono quelli per cui la norma prevede, affinché esista reato,  che ci sia stato un reale pericolo per il bene giuridico. E' il giudice che, caso per caso, deve stabilire se c'è stato o meno un effettivo pericolo. Ad esempio, dare alle fiamme un oggetto di nostra proprietà, è reato solo se il giudice accerta che nel caso specifico abbiamo messo in pericolo l'altrui incolumità (c'erano, ad esempio, persone o cose nelle immediate vicinanze)
  • reati di pericolo astratto: sono quelli per cui, affinché esista reato, non è necessario che il giudice accerti se, nel caso specifico, qualcuno abbia davvero corso qualche pericolo; è sufficiente, invece, che si sia attuato il comportamento vietato dalla norma. Un esempio di norma che introduce un reato di pericolo astratto, è il reato di rissa. Chiunque partecipi ad una rissa, viene punito punto e basta.  Non è necessario che il giudice dimostri, ad esempio, che nelle vicinanze ci fossero altre persone che potevano rimanere ferite a causa della rissa.

Quale è, allora, il senso delle norme che introducono i reati di pericolo astratto? Si tratta, in pratica, di reati di natura "preventiva", e cioè  il legislatore stabilisce, a priori, che determinati comportamenti, data la loro natura, costituiscono sempre e comunque un pericolo per un dato bene giuridico, e vanno quindi puniti in quanto tali, senza la necessità di ulteriori accertamenti per stabilire in ogni singolo caso se il pericolo era reale o meno. Questa supposizione da parte del legislatore, deve essere basata quindi su valutazioni di carattere generale ed astratto, basate sull'esperienza.

Volendo, allora, inquadrare il nostro ddl in questa ulteriore distinzione, credo che esso si configuri come una norma di reato di pericolo astratto. Infatti, il ddl, punisce la semplice diffusione di un messaggio ciarlatanesco, indipendentemente dal fatto che tale messaggio sia stato effettivamente ricevuto da qualcuno ed indipendentemente dalla misura in cui questo qualcuno abbia modificato il proprio comportamento sulla base del messaggio (non importa, cioè, se egli lo abbia ignorato del tutto, oppure se abbia solo pensato di rivolgersi al ciarlatano, oppure se abbia effettivamente usufruito delle pratiche del ciarlatano subendone un danno).

E' a questo punto, allora, che potrebbero iniziare alcune difficoltà per il ddl. Non è difficile immaginare, infatti, che l'introduzione di un reato di pericolo astratto presenta il rischio di essere troppo "preventiva" e quindi di delineare come reato un comportamento che di per sé non è pericoloso, andando a limitare esageratamente la libertà delle persone. C'è il pericolo cioè, di contravvenire al principio di offensività. Per evitare questa degenerazione,  la dottrina del diritto propone soluzioni alternative ed in contrasto tra loro; ci sono, insomma, diverse scuole di pensiero. Uno degli orientamenti prevalenti, dice che una norma di reato di pericolo astratto è accettabile solo se si verifica almeno una delle due seguenti situazioni:
  • non esiste una regola scientifica precisa, (oppure tale regola è troppo complessa per poter essere applicata di volta in volta dal giudice) che permetta di stabilire con ragionevole certezza se un dato comportamento abbia causato uno specifico danno, ma si hanno comunque forti indicazioni che, in generale, quel dato comportamento è causa di danni. Esempi di norme di reati di pericolo astratto, legittimate sulla base di tale ipotesi, sono le leggi che vietano il superamento di determinate soglie di sicurezza nelle quantità di alcune sostanze ritenute cancerogene o nell'intensità dei campi elettromagnetici emessi da dispositivi elettronici. In questi casi, non si hanno regole scientifiche precise per stabilire se la sostanza X, presa in quantità Y, causi il cancro. Tuttavia, disponiamo di dati statistici che evidenziano come in una popolazione esposta alla sostanza X, i casi di cancro siano superiori alla norma. Allora il legislatore, per tutelare la salute pubblica, può legittimamente introdurre una norma che punisce chiunque introduca negli alimenti la sostanza X in quantità superiore ad Y, senza necessità di stabilire se quell'alimento abbia effettivamente causato il cancro a qualcuno.
  • caso di beni giuridici offendibili solo da condotte seriali. E' il caso, ad esempio, delle leggi che vietano lo scarico delle acque reflue industriali nei fiumi e nel mare.  In questo caso il bene giuridico tutelato è l'ambiente. In realtà, una singola industria (tranne casi eccezionali) non è mai in grado di inquinare un intero fiume o l'intero oceano in modo significativo. Quindi, accusare di danni ambientali una fabbrica che riversa ogni anno una quantità X di sostanza nel fiume, potrebbe essere infondato, perché magari è noto che quella quantità di sostanza  non è tossica in nessun modo. Tuttavia, se la quantità totale di quella sostanza riversata nell'ambiente da tutte le fabbriche di un'intera nazione, provoca dei danni evidenti, allora il legislatore può legittimamente sanzionare il comportamento del singolo (di per sé innocuo) in virtù della nocività di quel comportamento quando attuato su scala seriale.


Eccoci giunti (finalmente direte....) al nocciolo della questione: il nostro ddl, rientra in almeno uno di questi due casi? Io ritengo di sì (...avevate dei dubbi?) ma magari mi sbaglio. Vi dirò di più: secondo me, in una certa misura, sono vere tutte e due! Vediamole singolarmente.

La prima ipotesi potrebbe essere verificata perché da un lato non è possibile stabilire con certezza chi quando e in che misura possa aver subito danni dando ascolto ad un ciarlatano che consiglia di curarsi il cancro con la ricotta, ma dall'altro, la cronaca fornisce le prove che tali pratiche prima o poi causano delle vittime. Si potrebbe obiettare che in realtà è sempre la vittima ad aver scelto di adottare quelle cure, e che quindi era consapevole del pericolo che correva. Tuttavia, in base a tale principio, sarebbe illecita anche la norma che vieta lo spaccio degli stupefacenti: non è sempre "il drogato" che decide di drogarsi? In realtà, la norma antispaccio vuole tutelare la salute sanzionando a priori una pratica che "mette in pericolo" la salute, senza stare a sindacare su chi e quando è morto a causa della sostanza spacciata. A mio avviso, spacciare stupidaggini che mettono in pericolo la salute, non è molto diverso dallo spacciare eroina.

Per la seconda ipotesi, possiamo considerare come bene da tutelare quello della cultura. Il singolo messaggio di un ciarlatano certamente non è in grado di degradare il livello culturale di una intera società. Tuttavia, una diffusione massiccia e prolungata di messaggi scientificamente infondati, crea e alimenta una non-cultura dell'irrazionale che può radicarsi nella società, soprattutto negli strati meno preparati, andando a competere ed a scontrarsi con l'istruzione fornita dalla scuola e dall'università. Anche in questo caso, le prove degli effetti deleteri, si trovano nei fatti di cronaca.

In ultima analisi, (per tornare al titolo del post) credo si possa ben dire che il pericolo è astratto...ma il reato è molto concreto.

Ce l'abbiamo fatta...anche questa volta vi ho propinato un bel mattone, ma credo ne sia valsa la pena perché abbiamo esaminato un aspetto cruciale del ddl e magari abbiamo imparato qualcosa (io per primo) su come funziona il diritto. Voi che ne pensate?

Concludo con il solito appello: se qualche esperto di diritto capitasse da queste parti, è caldamente invitato a dire la sua su quanto sopra.

Per il prossimo appuntamento, lascerò da parte le questioni tecniche e forse introdurrò le prime modifiche al testo.

Ciao a tutti!

Disclaimer: Le nozioni di diritto (ed alcuni esempi) esposte in questo post sono basate su questo materiale didattico liberamente accessibile sul sito del Dipartimento di Scienze Giuridiche "Cesare Beccaria" dell'Università degli Studi di Milano. Naturalmente, ogni errore o inesattezza è da attribuire esclusivamente a me.

3 commenti:

  1. Interessante :-)

    Aggiungerei i link alle relative pagine del Dipartimento di scienze giuridiche "Cesare Beccaria".

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  2. Ciao Faber, provvederò ad inserire i link. Grazie.

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  3. @Faber
    Ho inserito il link al materiale nel sito del Dipartimento di Scienze Giuridiche "Cesare Beccaria" dell'Università degli Studi di Milano. Scusa il ritardo ma, quando volevo inserirlo, mi sono accorto che quel materiale non era più presente nel sito. Oggi, facendo altre ricerche, mi sono accorto che è stato reinserito.
    Ciao e grazie!

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